giovedì 20 novembre 2008

Cioccolata o Cappuccino?

La nuova pubblicità B*aletti (ispirata dal vento afro che spira dagli States?)accoppia una ragazza nera - ops abbronzata - una bianca ed che al desiderio di un tizio convenientemente spariscono dalla sua camera da letto.
La classe!

lunedì 25 agosto 2008

lunedì 21 luglio 2008

Arabia Saudita: le donne al volante?

Secondo varie indiscrezioni entro la fine dell'anno potrebbe essere possibile anche per le donne guidare in Arabia Saudita senza essere arrestate.
Non che ora non lo facciano (illegalmente), ma a quanto pare i tempi cambiano e il nuovo sovrano del paese ha fama di riformista.

Gia' nel 1990, in occasione della Guerra del Golfo, 47 donne si erano messe al volante guidando a Riyadh, la capitale del pease. Fu un atto molto pubblicizzato, principalmemte perche' la citta' era piena di giornalisti stranieri.
Pero' le donne vennero arrestate, i loro nomi e numeri di telefono resi pubblici ed alcune ricevettero minacce di morte.

Tra le ragioni di un possibile cambiamento c'e' anche il fatto che parecchie donne sono single o divorziate e quindi non possono dipendere costantemente da un uomo che le scarrozzi, ne' possono prendere i taxi, cosa che viene considerata da alcuni come rischiosa.

Il fatto che non in tutti i paesi a maggioranza islamica le donne non possano guidare, dimostra ancora una volta come- in tutte le religioni - l'interpretazione dei testi sacri e delle norme che regolano la societa' possano essere estremamente varie.

La notizia e' stata riportata da The National pochi giorni fa.

sabato 19 luglio 2008

Today you will understand: voci dall’Uganda

Da anni il nord dell’Uganda è devastato da una guerra civile sanguinosa, definita tempo fa da un Lord's Resistance Army (LRA), esercito di ribelli fondato nel 1987, combatte contro il governo ugandese per sostituire all’attuale governo uno stato teocratico basato sui dieci comandamenti.
Infatti, il leader del movimento di ribelli,Joseph Kony si presenta al mondo come portavoce di Dio. Evidentemente “non uccidere” è stato recentemente defalcato dalla lista di comandamenti, in quanto la Lord’s Resistance Army è responsabile di massacri terribili, in particolari contro la popolazione Acholi


Joseph Kony - Foto presa da Wikipedia


Si stima che in venti anni di conflitto ci siano state più di 20.000 vittime: bambini vengono rapiti e usati come soldati (spesso ricevono l’ordine di uccidere i propri genitori) e ancora una volta, lo stupro è utilizzato con notevole “generosita”.

IRIN news si occupa del conflitto in Nord Uganda ed particolare della piaga di donne rese schiave, imprigionate e stuprate dall'esercito dei ribelli, con vari progetti che hanno come obiettivo la diffusione delle loro testimonianze. Sono voci di donne che superano la vergogna ed il dolore per denunciare al resto del mondo quello che gli viene fatto, nella speranza che qualcuno ascolti e che "today you will understand".



Foto di Getty Images: presa qui

Qui il report: Today you will understand ed ecco il link alle numerose risorse sull'Uganda sul sito di IRIN.

Altre risorse:

Save the Children in Uganda

Risorse sul conflitto in Uganda in Italiano:

Peacereporters

Conflitti dimenticati

venerdì 18 luglio 2008

Frivolous Feminist Friday: ma chi sono le femministe?

Tutte incazzate con gli uomini e potenzialmente lesbiche



O?

mercoledì 16 luglio 2008

Microfemminismo: Donne e fiabe al di là degli stereotipi di genere

Il femminismo rovina tutto: una guarda un film romantico dove lui e lei (raramente lei e lei o lui e lui) si giurano amore eterno e si chiede automaticamente se lui la aiutera' in casa, se lei mollera' il lavoro dopo il matrimonio...stessa cosa per le fiabe. I personaggi femminili sono spesso o principesse ingenue o streghe cattive.

A questo proposito il Women and Memory Forum ha condotto una ricerca su come le storie popolari in lingua araba (e non solo) riproducono e rinforzano gli stereotipi di genere. Il WMF si propone con questo progetto di creare materiali alternativi a quelli tradizionali, come ad esempio fiabe femministe, che possano influire in modo positivo sul ruolo e sulla rappresentazione delle donne.


foto di Tessa Lewin presa qui.

Un aspetto molto interessante del progetto è stata l’organizzazione di una notte di “story telling” al Cairo, che ha rappresentato una selezione di storie frutto di vari seminari tenutisi alla Ahfad University in Sudan, e Birzeit University in Palestina ed al Cairo.

Un bel progetto, che rilegge in chiave femminista i grandi classici della letteratura in lingua araba e che permette alle donne di ritrovare la propria voce.

La notizia qui e qui
MP3 (in Arabo e Inglese) con interviste e parte dei racconti su Open Democracy

martedì 15 luglio 2008

Microfemminismo: multa se discrimini le donne

In Croazia è stata varata per la prima volta una legge per la parità di genere che prevede una multa per combattere la discriminazione sul posto di lavoro, nei libri di testo, nei media ed in politica.

Una pubblicità offensiva può essere multata fino a 139.000 euro. Ed i partiti politici possono essere multati se non hanno tra i loro ranghi abbastanza donne (40%).

Qui la notizia

lunedì 14 luglio 2008

Femminismo Vintage: Betty Friedan, carriera e famiglia



Oggi un vero grande classico, infatti Betty Friedan sta alla storia del femminismo statunitense (e non solo) come il soufflé au fromage sta alla tradizione culinaria francese.
Betty Naomi Goldstein in Friedman (1921 – 2006) fu l’attivista statunitense che diede di fatto dato inizio alla second wave del femminismo. Di famiglia benestante, studiò allo Smith College e si laureò in psicologia. All’inizio della sua carriera lavorò come giornalista, scrivendo soprattutto per giornali di sinistra e per pubblicazioni di sindacati.
Nel 1957 decise di tornare alla psicologia e di condurre uno studio sulla vita post college di alcune laureate dello Smith College, indagando soprattutto il grado di soddisfazione nelle loro vite. Da questa ricerca scaturì l’opera per cui Betty Friedan è diventata famosa: the Femminine Mystique (1963) che si trova anche in Italiano: La Mistica della Femminilità.



La parte probabilmente più nota dell’opera intera è quella intitolata “The Problem that has No Name”, dove la Friedan analizza il malessere delle donna media statunitense, che è madre, moglie e angelo del focolare – tutto ciò a cui una donna sana di mente può aspirare secondo la società dei tempi - ma che alla fine è turbata da un sentimento di costante insoddisfazione: il problema che non ha nome. L’opera è ovviamente datata e fa riferimento alla personale e parziale esperienza della Friedman, una donna bianca benestante che vive negli Stati Uniti negli anni cinquanta e sessanta. Infatti una delle maggiori critiche della Feminine Mystique proviene da bell hooks che sostenne che la Friedan rende universale un’esperienza che è invece limitata ad un gruppo privilegiato di donne.

Per esempio la maggioranza delle donne afroamericane, per via del minore status sociale, lavoravano tutte o quasi fuori casa. Inoltre hooks osserva che: “[she] did not discuss who would be called in to take care of the children and maintain the home if more women like herself were freed from their house labor and given equal access with white men to the professions.” (bell hooks, Feminist Theory: From Margin to Center)
Betty Friedan fa riferimento ad un ambiente sociale dove effettivamente ci si aspettava da tutte le donne che impersonassero il ruolo della casalinga soddisfatta, felice di sfornare torte e di aspettare il marito. E, come afferma la Friedan: “If a woman had a problem in the 1950’s and 1960’s, she knew that something must be wrong with her marriage and with herself” (p. 19). Il malessere aumenta in un crescendo, finché si conduce una vita di quieta disperazione.
L’autrice conclude poi il capitolo affermando: “[w]e can longer ignore that voice within women that says: I want something more than my husband and my children and my home” (p.32)

L’impatto dell’opera è stato fenomenale. Per la prima volta si esploravano i limiti ed i costi in termini di disagio psicologico di quello che era fino ad allora considerato come il ruolo femminile per eccellenza e molte donne non solo si riconobbero nelle esperienze descritte dalla Friedan, ma passarono anche all’azione, cercando lavoro fuori di casa ed impegnandosi attivamente nel movimento femminista.

La Friedan fondò poi nel 1966 NOW National Association for Women, ai tempi la più grande organizzazione femminista statunitense. Con NOW la Friedan condusse battaglie soprattutto per promuovere le pari opportunità sul posto di lavoro, la creazione di servizi per l’infanzia, etc.
Parecchie decadi dopo il problema che non ha nome, dopo la tanto sospirata “emancipazione” crediamo giustamente di avere diritto a tutto: famiglia, carriera etc, anche se il sistema sociale – almeno in Italia - è rimasto decisamente indietro, non riuscendo a schiodarsi dall’unico ideale della donna angelo del focolare.

Ma io mi chiedo, essendo in un’età cruciale per eventualmente decidere di avere o non avere una famiglia e di investire o meno in una carriera: quanta strada abbiamo davvero fatto? Siamo più felici, siamo più soddisfatte? Il problema che non ha nome è scomparso o esiste ancora, sotto altre “identità”? Siamo davvero nella condizione di fare quello che desideriamo o solo nella condizione di fare di più?

Alcune risorse:

Young Feminists Take on Work, Family, and the Meaning of Success

Betty Friedan and the Radical Past of Liberal Feminism di Joanne Boucher


Il Paese delle donne su Betty Friedan

Immagini prese su Wikipedia

domenica 13 luglio 2008

Microfemminismo: riassegnazione di sesso? Paga lo stato!

Una buona notizia, una volta tanto.
Dopo avere fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani, una donna lituana di 30 anni ha ottenuto dal governo del proprio paese 40.000 euro da spendere per un'operazione di riassegnazione di sesso. Infatti secondo la Corte ha decretato che la Lituania avrebbe dovuto finalmente promulgare una legge sulla riassegnazione di genere o pagare l'operazione.

Qui la notizia, apparsa su Baltic Times.

Risorse in Italiano sui diritti delle persone Transgender

Risorse in Inglese sui diritti delle persone Transgender

venerdì 11 luglio 2008

Frivolous Feminist Friday: anni 50 rivisitati

Al di là del forte interesse per la causa femminista e la sobrietà che in genere mi contraddistingue, quando si parla di anni 50 io non capisco piu' niente. Mi vedo avvolta in "not politically correct" stole di pelliccia, immagino di partecipare a feste su feste e diballare la musica delle big bands.

Certo, negli anni 50 sarei stata sofisticatissima, ricca e sfaccendata e Cary Grant sarebbe stato il mio fidanzato. Sarei stata anche un'alcolizzata, con tutte quelle feste.

Siccome invece mi tocca il 21esimo secolo, ed oggi è un frivolo venerdì, mi consolo con questo sito,
Anne Taintor, programmando l'acquisto di questo:



oppure questo:



Infatti non disdegno l'acool neppure nel 21esimo secolo.

mercoledì 9 luglio 2008

Non solo vittime: donne birmane tra stupri e resistenza

Gli stupri delle donne birmane continuano, mentre della situazione in Myanmar/Birmania almeno sui media mainstream italiani si tende a parlare sempre meno. In Myanmar lo stupro è un’arma di guerra utilizzata con notevole disinvoltura: secondo l’articolo “Rape in Burma: a Weapon of War”, i soldati dell’esercito birmano utilizzano lo stupro come arma per portare avanti la pulizia etnica del paese, che è caratterizzato dalla presenza di numerose minoranze etniche.

La violenza sulle donne, nell’ambito di un conflitto armato, ha una forte valenza simbolica, in quanto il corpo femminile rappresenta l’onore e la purezza dell’intera nazione. Dunque, come finalmente riconosciuto anche dalle Nazioni Unite con la Risoluzione 1820 , gli stupri non sono qualcosa che accade in una situazione di caos e conflitto, ma sono elementi di una deliberata strategia bellica che promuove la completa deumanizzazione del nemico.

A titolo d’esempio, l’autrice dell’articolo, Cheery Zahau, sottolinea come nel solo stato di Chin , situato nella parte occidentale del paese, nel 2006 si sono avuti 38 casi di stupro. Ovviamente la maggior parte degli stupri sono rimasti impuniti, essendo perpetrati dal regime stesso.

Se si guarda alla storia passata, è tristemente evidente che la Birmania è “solo” l’ennesimo episodio di una lunga storia di vittimizzazione delle donne nei conflitti armati: si pensi agli stupri nella ex Yugoslavia, alle comfort women in Corea, etc.
Ma credo che anche se la vittimizzazione va costantemente denunciata, spesso si tende a trovare come comun denominatore tra tutte le donne l’essere oppresse, sia pure in modo diverso. Per quanto questo sia certo, credo che sia un buon esercizio rovesciare la prospettiva: le donne saranno anche tutte oppresse, ma tutte e dappertutto resistono, si organizzano a livello locale – senza attendere che si smuovano le grande agenzie internazionali, e fanno sentire la propria voce contro gli abusi a cui sono sottoposte.

Per quanto riguarda la Birmania, dal 1999 è attiva la Shan Women Action Network , un’organizzazione femminista che combatte per la giustizia di genere e contro la violenza sulle donne e altre associazioni quali la Karen Womens Association
che lotta per mantenere viva la tradizione Karen in Myanmar, e la Palaung Women Organization, che si impegna per un miglioramento dello status delle donne Palaung.

E' sicuramente anche merito di queste organizzazioni locali (e dei partners internazionali) se adesso le voci delle donne birmane possono arrivare fino a noi.

Alcune risorse:

Genere e Nazione

Licenza di stupro in Myanmar

Burma partnership

Free Burma Coalition

lunedì 7 luglio 2008

Caro G8, il neoliberismo non é il migliore dei mondi possibili.

Si è aperto oggi l’incontro dei G8 in Giappone, preceduto da numerose manifestazioni di contadini/e contro l’aumento dei prezzi del cibo, uno degli argomenti al centro dell’incontro del G8 di oggi. Secondo
fonte ), malgrado la produzione totale di cibo sia sufficiente a nutrire tutta l’umanita'.

La Banca Mondiale ha fatto appello agli otto “grandi” affinché si prendano provvedimenti in fretta; basta pensare che dal gennaio 2007 ben 41 paesi hanno perso tra il 3% ed il 10% del loro prodotto nazionale lordo.
Qui proposta in 10 punti della Banca Mondiale per cominciare ad affrontare il problema.

Ancora una volta, le donne sono particolarmente colpite da questa crisi, essendo in molti paesi coloro che si dedicano alla produzione di prodotti agricoli: a questo proposito l’associazione
Madrein collaborazione con altre ONG, ha indirizzato questa lettera al G8. Partendo dal presupposto che il cibo debba venire considerato come un diritto e non come un mero bene di consumo, si afferma che é necessario passare da un sistema di produzione di cibo in cui le multinazioni padroneggiano a sistemi basati su una produzione locale e sostenibile, intervendo anche sulle regole del commercio internazionale che sono improntate spesso al piu’ bieco neoliberismo.


Vandana Shiva celebre attivista indiana (e vicepresidente di Slow Food) da anni si batte per la promozione della biodiversitá e contro la politica della Monsanto che in India distribuisce semi OGM ai contadini indiani, con gravi danni per l’ambiente e per il benessere economico dei contadini stessi. In India i sono stati e continuano ad esserci centinaia di suicidi di contadini legati alla politica di vendita e distribuzione di semi OGM ed alle conseguenze sulle coltivazioni. Peraltro, la politica disinvolta della Monsanto é anche stata applicata negli Stati Uniti,dove la Monsanto ha innescato una vera e propria lotta contro i contadini (peraltro suoi stessi clienti).

A questo punto, a chi sposa la solita narrativa secondo la quale il capitalismo alla fine é il sistema economico migliore, in quanto é l’unico che ha funzionato ed ha avuto successo, chiederei di riflettere meglio sul significato della parola “successo”.

Risorse:

Vandana Shiva e empowering women

In Italiano: Intervista a Vandana Shiva

sabato 5 luglio 2008

Se uno/a non basta: polyamory


Immagine presa in prestito qui

Dico la verità: sono una monogama assoluta. Sono certa che la monogamia non sia un istinto naturale dell’essere umano, e credo che il valore che si dà alla fedeltà derivi soprattutto da imperativi moralistici, ma nun ce la fo. Non mi districherei mai tra più di un uomo e per ora non ho avuto grosse tentazioni.

Chiusa la parentesi personale, apro sulla polyamory, di cui su alcuni blog che leggo si parla molto. Da polis=molti e amor= amore, la polyamory come categoria racchiude tutta una serie di arrangiamenti (tra i quali vi è la coppia aperta) che prevedono che le persone coinvolte in una relazione (spesso eterosessuale) siano libere di intrecciare relazioni sentimentali e anche sessuali con altri individui, che possono portare per esempio una donna o un uomo ad avere tre diversi/e partners e a convivere con due di essi/e, mentre un/una terzo/a lo si incontra solo ogni tanto.

Polyamory in questo senso è un concetto più sofisticato di un tradimento autorizzato, anche perché il fattore sessuale non è predominante, si tratta di amare più di una persona ed essere coinvolti/e in relazioni che possono anche essere a lungo termine. Ciò che mi ha stupito riguardo ad un articolo che ho letto a proposito, è che anche se polyamory rappresenta una trasgressione dell’ideale di famiglia monogama, in realtà alcune delle situazioni riportate danno un’idea di famiglia estremamente “normale”, dove la “regolare” relazione a due tra partners è in un certo senso moltiplicata, perché si possono avere più partners sotto lo stesso tetto che contribuiscono al sostentamento economico della famiglia e si dividono i compiti in casa. Anzi, alcuni siti come Love More danno informazioni e propongono veri e propri corsi per aiutare le persone che si definiscono polyamorous.



I costi emotivi di una tale scelta credo possano essere devastanti nel caso le cose non vadano perfettamente e non ci sia completa sintonia nella decisione di aprire la relazione ad altri; ci sono però dei vantaggi notevoli e onestamente, per me inaspettati, che vanno al di là della soddisfazione a livello sentimentale e sessuale: per esempio, in una famiglia con più partners che vivono insieme si hanno più persone che possono prendersi cura di eventuali figli/e, e si hanno decisamente più risorse economiche.

Mi rimangono però delle curiosità e dei dubbi: per esempio, delle famiglie così costituite riproducono anche i tradizionali ruoli di genere all’interno dell’ambiente domestico? Perché a quanto pare le coppie gay e lesbiche apparentemente vi fanno ricorso meno delle coppie eterossessuali? E conoscere ed eventualmente vivere con l’altro/a non è meglio che sapere di essere traditi/e ma non con chi? Non è un’ulteriore forma di controllo?

venerdì 4 luglio 2008

Frivolous Feminist Friday

Una settima intensa. Mi sono gingillata con varie attività quali spaventare i bambini e le bambine gridando loro: “Tremate tremate le streghe son tornate!”, ed infine, ho frequentato quei tre o quattro gruppi di autocoscienza. Che fatica. Ma è venerdì e dunque mi ritrasformo in una borghesuccia qualsiasi e passo al frivolo.
E vi consiglio questa lettura sotto l'ombrellone, pubblicato da Mondadori.



Lo considero ormai un grande classico, ma è sempre ironico, divertente e francamente utile. Insomma, molto valido, anche se un po' carente nella sezione omossessualita'.

martedì 1 luglio 2008

Giù le mani dalle cicce!

Quando il mio compagno mi guarda con occhio da triglia e mi dice che se perdessi due chili sarei (ancora più) stupenda io penso al mio ginecologo che mi dice che sono un po’ sottopeso. Potrei scambiare i due; ma se l’idea di giocare al ginecologo con il moroso può essere stuzzicante, l’idea di mettermi nel letto un ginecologo settantenne lo è decisamente meno. Ma non si sa mai.

Tutto questo per introdurre il tema dell’obesità e del “movimento per l’accettazione del grasso” (Fat Acceptance Movement), di cui in Italia non ho per ora trovato tracce, mentre invece nel mondo anglosassone (e negli USA in particolare) il movimento esiste già dagli anni sessanta. E siccome il tema corpo/mass media/pressioni della società è caro al femminismo, e le donne sono sicuramente le più stigmatizzate per il loro peso, cominciamo da chi rivendica il diritto di avere altre forme che non siano quelle filiformi.

I principi base del movimento:

Il movimento per la fat acceptance è impegnato nella decostruzione di “miti” relativi alla correlazione tra obesità e problemi di salute: in particolare, parte degli attivisti impegnati nella fat acceptance dichiarano che essere sovrappeso o obeso/a non voglia dire necessariamente avere problemi di salute. Per esempio il sito della NAAFA - National Association for Fat Advancement sostiene che gli effetti più negativi sulla salute derivano dai vari tentativi di diete, che innescano un effetto yo-yo e che se le persone grasse soffrono di problemi di salute ciò spesso è anche attribuibile al fatto che alcuni medici discriminano le persone grasse. Secondo invece una prospettiva opposta l'obesità rappresenta un costo economico non indifferente. Secondo la World Health Organization Europe in Europa ci sono 400 milioni di persone considerate sovrappeso (BMI 25–29.9) e 130 milioni che vengono classificate come obese (BMI greater than 30). Questa situazione comporta che tra il 2% e l'8% del budget totale per la sanità in Europa venga speso per costi relativi all'obesità. Negli Stati Uniti 58 milioni di persone sono sovrappeso, e 43 milioni sono obese: le spese affrontate dal sistema sanitario ammontavano a circa il 9,1% nel 1998 (Dati CDC )

Lotta contro la discriminazione: dalla misura dei sedili sugli aeroplani all’associazione: grasso/a=lento/a=poco intelligente, gli appartenenti al movimento ritengono (spesso a ragione) che essere obesi sia causa di discriminazione. Secondo uno studio di Kelly Brownell e Rebecca Puhl le persone obese sono discriminate principalmente in tre aree: educazione, lavoro e sanità. Questa entry in un forum fornisce una esauriente prospettiva sul problema in Italiano.

Dieta o non dieta: su alcuni blog c'è una sorta di divieto di parlare di diete, come su Big Fat Blog, mentre su altri il tema viene discusso. La posizione ufficiale di NAAFA scoraggia dall'intraprendere una dieta dimagrante, scagliandosi contro il business che c' è dietro e stabilendo che sebbene le diete siano prescritte per guarire l'obesità, spesso non funzionano e instillano setimenti di inadeguatezza nei pazienti. Naturalmente non ci si scaglia contro diete - intese come regimi alimentari - che sono volte a diminuire colesterolo, zuccheri e che sono prescrittte per specifiche condizioni di salute.
C'è invece una condanna totale per le operazioni di bypass gastrico.

Conclusioni (parziali e provvisorie)

Promuovere l’accettazione del proprio corpo anche quando non corrisponde ai canoni imposti dai mass media o dalla società nel suo complesso è sicuramente un obiettivo importante, e combattere le discriminazioni che una persona può subire a causa del proprio peso è sicuramente un altro obiettivo validissimo. Ma, come osserva Lili-Rygh Glen nel suo articolo "Big Trouble", questo movimento spesso tende a minimizzare e/o a non affrontare il problema dei disordini legati al cibo che possono portare all’obesità.

La necessità di promuovere l’idea che essere grassi/e non significhi essere malati/e, e che dobbiamo rielaborare la nostra concezione di cosa significhi essere sani, porta ad ignorare i problemi di chi invece all’interno del movimento è grasso/a perchè è malato/a. Inoltre, almeno sul sito del NAAFA, i disordini alimentare vengono collegati principalmente all’abitudine di ricorrere a diete, che certo può rappresentare un fattore scatenante, ma sicuramente non il solo. Infine, l'accettazione può significare a lungo termine che l'individuo non si curi, mentre pare assodato che l'obesità sia connessa ad una moltitudine di malattie.

Infine, penso che in questo senso il movimento per l’accettazione delle persone sovrappeso/obese rappresenti gli stessi problemi che ogni gruppo minoritario (donne, minoranze etniche, etc) ha quando cerca di presentarsi compatto ed unito per combattere contro la maggioranza. La necessità di presentarsi forti, con un programma chiaro e preciso fa sì che la diversità all’interno del movimento venga se non ignorata, almeno condannata al silenzio.

Risorse:

Per scrivere questo post mi sono basata principalmente sull’ottimo articolo Fat Acceptance Movement su Wikipedia che ha una lunga serie di links che si possono esplorare e sull'articolo "Big Trouble" già citato.

Altre fonti consultate (in Inglese):

Sito del NAAFA
Big Fat Blog
Fat Liberation Archives

lunedì 30 giugno 2008

Femminismo Vintage: Begum Rokeya Sakhawat Hossain (1880- 1932) e le utopie femministe



Foto courtesy of Wikipedia

Rokeya Sakhawat Hossain era una femminista indiana musulmana che fu estremamente attiva nella difesa dei diritti delle donne indiane. All’inizio del 1900 istituì la Sakhawat Memorial Girls' School riservata a ragazze musulmane. L’istruzione delle donne musulmane a quei tempi era particolarmente ostacolata dalla diffusa pratica del purdah, che proibiva alle donne musulmane (e non) di mostrarsi ad uomini estranei al circolo familiare. Dunque il purdah doveva essere strettamente osservato non solo a scuola, ma anche nel trasporto da casa a scuola, creando una serie notevole di difficoltà che sfavoriva la frequentazione scolastica. Rokeya Hassan lottò strenuamente per garantire una buona istruzione alle ragazze musulmane, affermando strategicamente che una donna ha bisogno di essere istruita in modo da poter essere una migliore musulmana.

Rokeya Hossain è conosciuta soprattutto per la sua utopia “Sultana’s Dream”, pubblicata nel 1905. In questa opera vi è una completa inversione dei ruoli, per cui gli uomini sono osservano il purdah e sono confinati a casa, mentre le donne governano il mondo. Rokeya era infatti molto critica nei confronti del purdah. L’intero testo dell’opera si trova qui


Quello che mi pare interessante è che sebbene a tratti io sogni un mondo dove gli uomini scontano secoli di vantaggi spesso immeritati,l’utopia di Rokeya è un po’ fascista, perchè non punta all’eguaglianza e ad una spartizione equa del potere, ma semplicemente fa sì che oppresso e oppressore si scambino i ruoli. Io credo invece che il femminismo non debba puntare a farla pagare agli uomini, ma debba invece cercare di creare una società egalitaria. Se poi nel processo una si piglia anche qualche bella soddisfazione...

sabato 28 giugno 2008

Frivolous Feminist Friday

Anna H. (lasciatemi parlare di me in terza persona, chè mi fa sentire importante) ogni tanto scende dalle barricate, smette – provvisoriamente - di opprimere uomini innocenti, e cazzeggia.
E dunque su questo blog ci va il Frivolous Friday, che questa settimana cade di sabato, per motivi vari.

Ed ecco i due oggetti del cazzeggio della vostra maîtresse à penser:

1. Anna H. ricama. La manualità di Anna H. fa pena, però ricamare la rilassa. Per esempio, al momento si sta dedicando ad un cuore trafitto che andrà a finire sulle mutande di un’amica fortunata. Ma il prossimo progetto potrebbe essere questo favoloso kit di Subversive Cross Stitch
(meno la cornice rococò che fa "Salotto di Nonna Speranza")




2. Anna H., dopo aver finito di leggere a 10 anni gli Harmony di mamma ha capito la logica del plot: lei vergine, lui sembra bastardo ma è buono, lei gliela dà, equivoco per cui lei crede che lui sia bastardo sul serio, lui si redime, si sposano.
A quel punto Anna H. e (la mamma) si sono dedicate a letture quasi serie, e quindi Anna H. Sta leggendo questo:




Ed ha capito che la Allende è ora di metterla da parte, perchè anche qui il plot si ripete, anche senza vergini. E comunque come suocera la Allende è un incubo.

Saluti femministi!

giovedì 26 giugno 2008

Microfemminismo: mettiti il tanga ed andiamo (all'asilo?)

Mettiti la maglietta di Limited Too

(immagine di Slate)

gioca un po' con la tua raffinatissima bambola Bratz



non dimenticarti il profumo della Barbie


E ricordati che se sei oggettificata e sessualizzata, è tutta colpa delle femministe! Lo dice fox news qui. Peccato che nella logica impeccabile dell'autrice affermare il diritto ad una sana sessualità equivalga ad un "tutto è permesso" e soprattutto a qualunque età


Per una risorsa esauriente in Inglese: "Report of the American Psychological Association on the Sexualization of Girls" (2007) qui

In Italiano: "Erotizzazione dei bambini nella pubblicità"
qui

mercoledì 25 giugno 2008

Obama ed il velo maledetto (partecipazione straordinaria di Cat Stevens)




È di pochi giorni fa la notizia secondo cui due volontari per la campagna di Obama hanno impedito ad alcune donne coperte dal velo di posare con lui in una foto ufficiale. Ovviamente si sono poi tutti prontamente scusati. Putroppo però la decisione, per quanto fuori luogo è il chiaro esempio dell’isteria collettiva che ancora circonda hijab, burqa, etc. che sono diventati un vero feticcio, nel senso di "oggetto di un' ossessione". Nell’immaginario collettivo la donna velata non solo richiama l’idea di oppressione, ma il velo diventa il simbolo unico di tale oppressione, dove tutte le ansie e paure vengono concentrate, distraendoci dal soffermarci su altri problemi. Inoltre, una visione così semplificata cristallizza le donne velate in una posizione subordinata e passiva, di eterna vittima.


Essere una vittima (o dichiararsi come tale) può rappresentare una buona strategia, nel male, come quando Bush si preoccupò improvvisamente per le povere donne afghane coperte dal burqa, o nel bene, come quando Emma Bonino utilizzò le stesse immagini per mobilitare l’opinione pubblica contro il regime dei Talebani.

Cosa rappresenta allora il velo? Se spostiamo la prospettiva e studiamo cosa rappresenta per chi lo indossa, si vede che la questione è molto piú complicata: in questo interessante articolo di Azadeh Namakydoust apparso anni fa su si capisce chiaramente che il velo può non solo essere adottato spontaneamente come strumento politico - nel caso dell'Iran nel 1979 come atto di protesta contro lo Sha - ma rappresenta anche un elemento di comfort.


Secondo Namakyodust infatti: "For many women wearing the veil represented tradition, honor, femininity, and some times even comfort; hence most women, along with their husbands, passionately opposed the royal decree (decreto che proibiva alle donne di portare il velo). Some women refused to leave their houses for months, some others ventured out into the streets in full cover and risked being beaten and having the veil violently pulled off of their heads. "



Dunque il velo può essere anche una scelta fatta in assoluta libertà, à la Cat Stevens che cantava:




You can do what you want
The opportunity is on
And if you can find a new way
You can do it today
You can make it all true
And you can make it undo
You see ah ah ah
Its easy ah ah ah
You only need to know



oppure può essere una scelta fatta come conseguenza di più o meno pesanti condizionamenti. Ma al di là della questione scelta/obbligo un'unlteriore domanda che ci si deve porre è se portare il velo in tutte le sue forme fa di una donna una cittadina di serie B e la discrimina non solo nella sfera privata, ma anche nella sfera pubblica, vis à vis gli altri cittadini. E senza andare molto lontano, in Turchia si sta discutendo in modo decisamente acceso sull’opportunità di lasciare frequentare l’università a donne che portano il velo. Oltretutto, il femminismo occidentale (che è solo un' incarnazione del femminismo tra tante) tende spesso a promuovere la semplice equazione: donna velata=oppressa e donna senza velo=liberata, adottando cosi' un atteggiamento decisamente paternalistico.

Per saperne di piu':

risorse in Inglese: "Do Muslim Women Really Need Saving? Anthropological Reflections on Cultural Relativism and Its Others" di Lila Abu Lughod

"Feminist Theory, Embodiment and the Docile Agent" di S. Mahmood, disponibile qui

Fatima Mernissi qui

Orientalismo di Edward Said

Oltre il Velo di Leila Ahmed

martedì 24 giugno 2008

Perchè e per come

Chi: Anna H., la mente dietro a Femminismo per tutti. So qualcosa sul femminismo e voglio “evangelizzare” il mondo intero, cominciando dalla blogosfera italiana.

Quando: quando ci si riesce

Come: non svaccando troppo, cercando di dare informazioni interessanti e utili

Per chi: per tutti. Perchè il femminismo è un progetto che benchè spieghi l’oppressione delle donne e la combatta – in realtà lotta per l’emancipazione dei più deboli, uomini e donne.

Dove: dappertutto.