mercoledì 25 giugno 2008

Obama ed il velo maledetto (partecipazione straordinaria di Cat Stevens)




È di pochi giorni fa la notizia secondo cui due volontari per la campagna di Obama hanno impedito ad alcune donne coperte dal velo di posare con lui in una foto ufficiale. Ovviamente si sono poi tutti prontamente scusati. Putroppo però la decisione, per quanto fuori luogo è il chiaro esempio dell’isteria collettiva che ancora circonda hijab, burqa, etc. che sono diventati un vero feticcio, nel senso di "oggetto di un' ossessione". Nell’immaginario collettivo la donna velata non solo richiama l’idea di oppressione, ma il velo diventa il simbolo unico di tale oppressione, dove tutte le ansie e paure vengono concentrate, distraendoci dal soffermarci su altri problemi. Inoltre, una visione così semplificata cristallizza le donne velate in una posizione subordinata e passiva, di eterna vittima.


Essere una vittima (o dichiararsi come tale) può rappresentare una buona strategia, nel male, come quando Bush si preoccupò improvvisamente per le povere donne afghane coperte dal burqa, o nel bene, come quando Emma Bonino utilizzò le stesse immagini per mobilitare l’opinione pubblica contro il regime dei Talebani.

Cosa rappresenta allora il velo? Se spostiamo la prospettiva e studiamo cosa rappresenta per chi lo indossa, si vede che la questione è molto piú complicata: in questo interessante articolo di Azadeh Namakydoust apparso anni fa su si capisce chiaramente che il velo può non solo essere adottato spontaneamente come strumento politico - nel caso dell'Iran nel 1979 come atto di protesta contro lo Sha - ma rappresenta anche un elemento di comfort.


Secondo Namakyodust infatti: "For many women wearing the veil represented tradition, honor, femininity, and some times even comfort; hence most women, along with their husbands, passionately opposed the royal decree (decreto che proibiva alle donne di portare il velo). Some women refused to leave their houses for months, some others ventured out into the streets in full cover and risked being beaten and having the veil violently pulled off of their heads. "



Dunque il velo può essere anche una scelta fatta in assoluta libertà, à la Cat Stevens che cantava:




You can do what you want
The opportunity is on
And if you can find a new way
You can do it today
You can make it all true
And you can make it undo
You see ah ah ah
Its easy ah ah ah
You only need to know



oppure può essere una scelta fatta come conseguenza di più o meno pesanti condizionamenti. Ma al di là della questione scelta/obbligo un'unlteriore domanda che ci si deve porre è se portare il velo in tutte le sue forme fa di una donna una cittadina di serie B e la discrimina non solo nella sfera privata, ma anche nella sfera pubblica, vis à vis gli altri cittadini. E senza andare molto lontano, in Turchia si sta discutendo in modo decisamente acceso sull’opportunità di lasciare frequentare l’università a donne che portano il velo. Oltretutto, il femminismo occidentale (che è solo un' incarnazione del femminismo tra tante) tende spesso a promuovere la semplice equazione: donna velata=oppressa e donna senza velo=liberata, adottando cosi' un atteggiamento decisamente paternalistico.

Per saperne di piu':

risorse in Inglese: "Do Muslim Women Really Need Saving? Anthropological Reflections on Cultural Relativism and Its Others" di Lila Abu Lughod

"Feminist Theory, Embodiment and the Docile Agent" di S. Mahmood, disponibile qui

Fatima Mernissi qui

Orientalismo di Edward Said

Oltre il Velo di Leila Ahmed

Nessun commento: