venerdì 30 ottobre 2009

Frivolous Feminist Friday: corteggiamento negli anni 30

Problemi con il corteggiamento? Niente paura, dal passato arrivano preziosi suggerimenti.



Qui altre foto. Via Change.org.

giovedì 29 ottobre 2009

Burka e burkini tra integrazione e tradizione



Su Reset - Dialogues on Civilizations,
una mini intervista a Enzo Pace, docente presso l’Università di Padova ed esperto di sociologia delle religioni, su burka, burkini e processi di integrazione a livello europeo. Intanto, in Egitto, paese islamico che si e' sempre considerato tollerante e moderno, lo stesso "Grand Imam" sta pensando di bandire il velo che copre tutto il viso, sempre piu' comune in Egitto. Ma il trend e' il riflesso di un paese piu' religioso o semplicemente piu' tradizionalista?
Quiqualche opinione, e qui qualche risorsa sul velo (piu' la mia personale opinione...).

mercoledì 28 ottobre 2009

Donne e sviluppo economico

Lunedi' e' stato presentata l'edizione 2009 della
World Survey on the Role of Women in Development (United Nation Division for the Advancement of Women) il cui tema e' il controllo delle donne sulle risorse economiche e sull'accesso alle risorse finanziarie, tra le quali la microfinanza.

Considerato che secondo dati delle Nazioni Unite le donne svolgono circa i due terzi del lavoro globale (pagato e non pagato) e che pero' ricevono solo un decimo del reddito globale e posseggono solo un centesimo della proprieta' (terra, ed altre risorse), si capisce come questo tema sia di fondamentale importanza.

Un punto fondamentale del report e' che " le politiche che rafforzano il controllo delle donne su risorse fondamentali hanno un impatto diretto sull'"empowerment" femminile e anche sui processi di sviluppo. Inserire queste politiche nell'ambito del diritti [umani], assicura che questo controllo [sulle risorse economiche] non sia lasciato alla discrezione ....dello stato, o delle fluttuazioni del mercato, ma sia un diritto dei cittadini" (traduzione mia da qui).


Quiun breve elenco dei punti fondamentali del report.

martedì 27 ottobre 2009

Violenza domestica: ruoli di genere e campanelli

La "White Ribbon Campaign,"
diffusa ormai in circa 55 paesi, tra cui l'Italia, porta avanti attivita' di sensibilizzazione della comunita', lavora nelle scuole con i ragazzini e le ragazzine sulla violenza contro le donne.

Il sito della campagna in Pakistan, per esempio, sottolinea che " gli uomini non nascono violenti", enfatizzando la necessita', anche per gli uomini, di riconoscere che i ruoli di genere sono definiti dalla societa', non sono naturali, e come tali possono essere modificati. Cosi' come le donne faticosamente tentano (e riescono) di liberarsi dalle pressioni sociali che le vogliono di solito madri e mogli, sottomesse, etc. cosi' gli uomini possono combattere gli stereotipi che li vogliono "machi" e violenti.

Anche se non credo sia necessariamente facile lavorare insieme su determinati temi, questo approccio finalmente sposta l'attenzione dalle vittime ai perpetratori di violenza e soprattutto e' un approccio che promette di avere un impatto sul lungo periodo, cambiando le relazioni tra uomini e donne e proponendo un nuovo modello di comportamento per le generazioni future.
I progetti che coinvolgono gli uomini sono relativamente recenti, ed e' ancora difficile valutarne gli effetti, ma sempre piu' attivisti nel campo si stanno orientando verso questa soluzione.

In India, dove circa una donna ogni tre e' vittima di violenza domestica, e' stata recentemente avviata una campagna che prevede il coinvolgimento degli uomini:
Bell Bajao (Ring the Bell!)
Secondo l'articolo India's Domestic Violence Campaign Asks men to be Part of the Solution, la campagna, che si avvale di spots, sito web e leadership trainings, ha il merito di avere come target uomini e donne, puntando ad una maggiore sensibilizzazione al tema della violenza e invitando uomini e ragazzi - come per esempio negli spots - ad intervenire, semplicemente suonando il campanello.

lunedì 26 ottobre 2009

domenica 25 ottobre 2009

Matrimonio - tra personale, politico e femminismo



foto presa qui.

Kissinger un giorno disse che "Nobody will ever win the Battle of the Sexes. There's just too much fraternizing with the enemy". Sulla stessa linea, alcune femministe radicali americane, soprattutto negli anni 60 e 70, scrissero che essere lesbica era a quel punto una decisione politica. Nel frattempo, qualcosa e' cambiato: alla second wave si e' sosritutita una piu' morbida third wave che giustamente combatte il sistema patriarcale ma forse demonizza meno i singoli uomini, specie quelli che fanno parte della nostra vita, che magari sposiamo anche.

Ma come si presenta il connubio matrimonio e femminismo? Puo' una femminista sposarsi, magari anche in modo tradizionale, senza che le sue decisioni siano scrutinate pesantemente? Femminismo e matrimonio cozzano sempre? Onestamente, il dilemma me lo pongo anch'io nel mio piccolo: sposarmi mi renderebbe la vita molto piu' facile, ma d'altro canto mi secca che la fruizione di una serie di diritti scrosanti sia legate all'istitutione matrimonio, che nella maggior parte del mondo e' accessibile solo agli eterosessuali. Le battaglie delle "same-sex couples" per il matrimonio mi hanno sempre lasciate un po' perplessa, in quanto abolirei l'istituzione tout court a favore di altre forme "contrattuali", ma capisco anche che la mia e' una posizione privilegiata, e che il matrimonio gay ha una valenza importante, che certamente trasformerebbe l'istituzione stessa.

Tornando alle nostre femministe,Jessica Valenti blogger e scrittrice femminista americana, si e' sposata. Un matrimonio femminista, che rifletteva i valori della coppia: scambio di voti "progressista", donazioni ad organizzazioni che combattono per i diritti gay, il banchetto al matrimonio con cibi rigorosamente "local" etc. Ciliegina sulla torta (e arma mortale in mano ai critici della Valenti) la cerimonia viene seguita e documentata dalla mitica sezioni matrimoni"del NY Times della domenica. Il matrimonio e' diventato per alcuni critici la misura delle credenziali della Valenti, non "vera femminista". Tanto che lei ha risposto alle critiche con un post dal titolo decisamente eloquente:Well, I'm damn sure never getting married again rivendicando il fatto di non essere un "manifesto" del femminismo, ma una persona in carne ed ossa, che quindi prende le sue decisioni seguendo principi che non sono solo legati al suo essere una femminista. La sua risposta offre interessanti spunti per riflettere su privilegio e classe sociale nell'ambito del matrimonio.

A me pero' interessa di piu' l'articolo "Reflections on marriage" apparso su "The Nation" che offre instressanti spunti sull'istituzione matrimonio per determinati gruppi sociali, sottlinenado come il matrimonio sia proprio posizionato nell'intersezione tra personale e politico, e sostendo che "il matrimonio e' un diritto civile cruciale [per eterosessuali e non], ma non e' una panacea. Anche mentre lottiamo per il diritto al matrimonio per coppie dello stesso sesso, dobbiamo anche riflettere sul matrimonio stesso come istituzione sociale e politica... e lottare per i pari diritti e sicurezza di coloro che invece scelgono di non sposarsi".

Insomma, al di la' delle scelte individuali, la strada da percorrere e' ancora lunga.

sabato 24 ottobre 2009

Dare to show your face (and your body)




Siccome i discorsi sul corpo femminile non conoscono crisi - vedi ultimi eventi nel nostro paese - mi sono ricordata di un progetto interessante della The Fat Right Coalition, la cui missione e' di promuovere pari diritti e pari opportunita' per tutti/e, indipendentemente dal loro peso o taglia.


La Coalizione fa quindi parte del Fat Acceptance Movement, di cui avevo gia' parlato quiqualche tempo fa, ed ha lanciato recentmente un'iniziativa interessante - "Dare to show your face"- portata avanti su You Tube: persone definite normalmente come obese hanno accettato di aderire al progetto mostrando le proprie curve e parlando del rapporto con il proprio corpo.

Mi ha colpito la sicurezza delle ragazze, che parlano tranquillamente del fatto di essere "ciccione" e dei loro rapporti con gli uomini, sfatando l'immagine stereotipata della povera brutta obesa che nessuno vuole o della cicciona tonta.

Temo che il campione non sia significativo, ma e' gia' un passo avanti e rappresenta sicuramente un modello positivo per ragazze e donne obese che vivono male la loro condizione. Personalmente, rimango perplessa sulle conseguenze dell'obesita' sulla salute: alcune ragazze sono molto giovani e dichiarano di essere in buone salute, ma dubito che sia facile rimanere sani/e man mano che si invecchia.

Comunque sia, hanno "osato" mostrare la loro faccia e le loro rotondita' in un mondo dove la magrezza esasperata e' l'ideale dominante, e quindi, chapeau.

giovedì 22 ottobre 2009

I 30 anni di CEDAW



La Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women (CEDAW) compie 30 anni. In questi anni e' stata ratificata da piu' di 186 stati, e tanto per cambiare, invece di parlare di cio' che non va, concentriamoci su alcune "success stories".

martedì 20 ottobre 2009

Quanto costa un aborto?

Secondo il Guttmacher Institute, nelle cosiddette nazioni "in via di sviluppo" curare le conseguenze degli aborti clandestini costa be 341 milioni di dollari. Gli autori dello studio sottolineano poi che "in totale, circa il 15, 25% delle donne che avrebbero bisogno di cure post aborto non accedono ai servizi sanitari, e se lo facessero, i costi raddoppierebbero" (traduzione mia).

Sulla stessa linea, il Guardian riporta che ogni anno muoiono circa 70 000 donne per le conseguenze di aborti clandestini in paesi che hanno regole restrittive sull'interruzione di gravidanza e che sono caratterizzati da una mancanza di accesso a metodi contraccettivi. In Africa Subsahariana il 24% delle donne sposate "soffre di "unmet need for contraception" Qui altri dati.

Ritornando alle nostre 70000 donne, e' come se sparisse ogni anno l'equivalente di una piccola cittadina italiana.

Qulche altra risorsa:

Unsafe Abortion: Why Money Might Matter

International Planned Parenthood

mercoledì 14 ottobre 2009

La mia mano per un water


Immagine presa qui

In India, la cui popolazione totale e' 1,065,070,607 persone, 665 milioni non hanno accesso alle latrine, con tutte le spiacevoli conseguenze del caso: malattie e mancanza di privacy, siccome bisogna trovare un posto tranquillo dove espletare i propri bisogni.
Una geniale campagna, iniziata pochi anni fa, ha avuto l'intuizione di collegare matrimonio e latrine, ed ha fatto si' che nello stato di Haryana nel nord del paese, siano state costruite 1.4 milioni di toilettes. Il legame e' semplice: un buon futuro marito, oltre ad avere tutta una serie di caratteristiche, e' colui che ti costruisce anche un bagno. No bagno, no matrimonio.

Secondo l'articolo "In India, New Seat of power for women" una prima campagna della Banca Mondiale che aveva provveduto alla costruzione di latrine ha avuto poco successo, siccome la popolazione locale finiva per utilizzare le toilettes come ripostigli.
Questo e' un classico esempio di come sia fondamentale intervenire sui comportamenti delle persone perche' si abbia effettivamente un cambiamento in abitudini ormai radicate.
Un simile approccio e' stato usato in varie campagne per promuovere l'abitudine di lavarsi le mani piu' spesso, insistendo praticolarmente sul tema del "disgusto" e dello sporco. Anche in questi casi le donne sono state attivamente coinvolte.

Nel caso dell'India, grazie ad una combinazione di fattori, tra i quali lo squilibrio tra uomini e donne in termini numerici (dovuto anche alla piaga degli aborti selettivi) per cui ci sono molti scapoli che vogliono accasarsi e relativamente poche donne, e grazie anche al miglior livello medio di istruzione femminile, lo slogan "No toilet, no bride", diffuso con una campagna capillare che non ha risparmiato neppure le soap operas, ha avuto un effetto positivo.

Persino a livello sociale gli effetti della costruzione di latrine possono essere importanti: alla casta degli intoccabili tocca in genere tutto cio' che ha a che fare con la pulizia di resti umani, e le latrine potrebbero far si' che sempre meno sia necessaria la loro opera.
Il responsabile di tale successo e' Mr. Pathak, che ha dichiarato: "I tell the government all the time: If India wants to be a superpower, first we need toilets. Maybe it will be our women who finally change that."

Insomma, donne "empowered" da un water, ci sta anche questo.

martedì 13 ottobre 2009

Il denaro conta


Immagine presa qui.

E l'economia ancor di piu'. E siccome parlare di donne non significa sempre parlare di sfighe supreme e di oppressione, celebriamo la prima donna, Elinor Ostrom, che ha vinto il Nobel per l'Economia, seppure condiviso con un collega americano.

Gli studi della Ostrom non hanno a che fare direttamente con tematiche legate alle donne, ma rappresenta comunque una bella vittoria, considerando che le scienze in generale tendono ancora ad essere di dominio maschile.

Il futuro sara' po' piu' roseo? Ci saranno piu' donne che studieranno economia, fisica, matematica? L'economia terra' finalmente conto delle differenze tra uomini e donne?

Esistono studiose che applicano il femminismo all'economiaed in particolare molti studi si concentrano su come le risorse di uno stato, o di una citta' vengano spese tra uomini e donne.

Altre studiose invece si concentrano sulla necessita' di tenere in considerazione il lavoro svolto da tante donne in ambito domestico, che non solo non e' pagato, ma neppure viene considerato come vero lavoro.

Qualche risorsa:

Gender responsive budgeting
Unifem - budgeting for gender equality
Unifem, Women's Unpaid work

lunedì 12 ottobre 2009

La globalizzazione ci liberera'?

Forse si, forse non tutte. Anche se a me la parola globalizzazione evoca immediatamente visioni di cartelloni della C*ca C*la pure in mezzo alla foresta Amazzonica e spietate multinazionali, gli effetti del fenomeno piu' discusso del secolo possono essere inaspettamente liberatori.

Secondo Barbara Supp, autrice di "Quiet Revolution: Can Globalization help women out of Traditional Roles?" "La globalizzazione supera le barriere culturali e veicola immagini ed idee attraverso la televisione e internet: comporta l'espansione delle conoscenze, persone, beni, denaro e valori. Spesso contrasta arcaiche idee sociali che di fatto cementano l'ineguaglianza tra i sessi. La globalizzazione incoraggia le donne in Yemen a togliersi il velo, e da' alle donne europee potere economico."(Traduzione mia).

Naturalmente e' sempre bene chiedersi quali donne beneficiano e quali invece sono vittime della globalizzazione (e se levarsi il velo sia necessariamente un segnale di liberazione), ma di certo l'articolo esercita il suo fascino, raccontando di donne africane che rompono i ruoli di genere tradizionali e decidono di diventare meccanico, di ricche donne d'affari, di imprenditrici del cosiddetto "Terzo Mondo" che rivendicano piu' spazio e piu' potere.

Ma quali sono stati gli effetti della globalizzazione sulle donne? In generale sembra positivi, ma le donne sono ancora notevolmente svantaggiate: le statistiche danno un'immagine piuttosto fosca, specialmente per determinate parti del mondo.

Tuttavia, un risultato di questa sacrosanta attenzione sulle donne, sui loro problemi e sui loro successi quando vengono loro dati gli strumenti, ha aperto la strada ad un trend incentrato sulla "convenienza" dell'investire sulle donne, e sul circolo virtuoso che si innesca quando vengono dati loro strumenti minimi, come testimonia il peraltro bellissimo "The girl effect" o il discusso articolo "The Women's Crusade" apparso sul NY Times.



Mi sembra che nei dicorsi sul ritorno dell'investimento sulle donne, o sulle bambine, siano usate come risorse da sfruttare, e che si perda la questione fondamentale e politica dell'equita' e uguaglianza tra uomini e donne.

Mandare una bambina a scuola e' giusto prima che utile. Ed il problema non sono (solo) le bambine o le donne e la loro mancanza di istruzione, etc, il problema e' un sistema che privilegia sistematicamente gli uomini e che riproduce questa disuguaglianza.

Mi va benissimo che si raccolgano milioni di dollari a favore delle bambine, ma mi sta meno bene che si presti poca attenzione al perche' sono in questa situazione. la discriminazione non e' una cosa che succede cosi', e' qualcosa di costantemente riprodotto nelle societa' in cui viviamo e la responsabilita' del cambiamento e' di tutti, uomini e donne.