lunedì 14 luglio 2008

Femminismo Vintage: Betty Friedan, carriera e famiglia



Oggi un vero grande classico, infatti Betty Friedan sta alla storia del femminismo statunitense (e non solo) come il soufflé au fromage sta alla tradizione culinaria francese.
Betty Naomi Goldstein in Friedman (1921 – 2006) fu l’attivista statunitense che diede di fatto dato inizio alla second wave del femminismo. Di famiglia benestante, studiò allo Smith College e si laureò in psicologia. All’inizio della sua carriera lavorò come giornalista, scrivendo soprattutto per giornali di sinistra e per pubblicazioni di sindacati.
Nel 1957 decise di tornare alla psicologia e di condurre uno studio sulla vita post college di alcune laureate dello Smith College, indagando soprattutto il grado di soddisfazione nelle loro vite. Da questa ricerca scaturì l’opera per cui Betty Friedan è diventata famosa: the Femminine Mystique (1963) che si trova anche in Italiano: La Mistica della Femminilità.



La parte probabilmente più nota dell’opera intera è quella intitolata “The Problem that has No Name”, dove la Friedan analizza il malessere delle donna media statunitense, che è madre, moglie e angelo del focolare – tutto ciò a cui una donna sana di mente può aspirare secondo la società dei tempi - ma che alla fine è turbata da un sentimento di costante insoddisfazione: il problema che non ha nome. L’opera è ovviamente datata e fa riferimento alla personale e parziale esperienza della Friedman, una donna bianca benestante che vive negli Stati Uniti negli anni cinquanta e sessanta. Infatti una delle maggiori critiche della Feminine Mystique proviene da bell hooks che sostenne che la Friedan rende universale un’esperienza che è invece limitata ad un gruppo privilegiato di donne.

Per esempio la maggioranza delle donne afroamericane, per via del minore status sociale, lavoravano tutte o quasi fuori casa. Inoltre hooks osserva che: “[she] did not discuss who would be called in to take care of the children and maintain the home if more women like herself were freed from their house labor and given equal access with white men to the professions.” (bell hooks, Feminist Theory: From Margin to Center)
Betty Friedan fa riferimento ad un ambiente sociale dove effettivamente ci si aspettava da tutte le donne che impersonassero il ruolo della casalinga soddisfatta, felice di sfornare torte e di aspettare il marito. E, come afferma la Friedan: “If a woman had a problem in the 1950’s and 1960’s, she knew that something must be wrong with her marriage and with herself” (p. 19). Il malessere aumenta in un crescendo, finché si conduce una vita di quieta disperazione.
L’autrice conclude poi il capitolo affermando: “[w]e can longer ignore that voice within women that says: I want something more than my husband and my children and my home” (p.32)

L’impatto dell’opera è stato fenomenale. Per la prima volta si esploravano i limiti ed i costi in termini di disagio psicologico di quello che era fino ad allora considerato come il ruolo femminile per eccellenza e molte donne non solo si riconobbero nelle esperienze descritte dalla Friedan, ma passarono anche all’azione, cercando lavoro fuori di casa ed impegnandosi attivamente nel movimento femminista.

La Friedan fondò poi nel 1966 NOW National Association for Women, ai tempi la più grande organizzazione femminista statunitense. Con NOW la Friedan condusse battaglie soprattutto per promuovere le pari opportunità sul posto di lavoro, la creazione di servizi per l’infanzia, etc.
Parecchie decadi dopo il problema che non ha nome, dopo la tanto sospirata “emancipazione” crediamo giustamente di avere diritto a tutto: famiglia, carriera etc, anche se il sistema sociale – almeno in Italia - è rimasto decisamente indietro, non riuscendo a schiodarsi dall’unico ideale della donna angelo del focolare.

Ma io mi chiedo, essendo in un’età cruciale per eventualmente decidere di avere o non avere una famiglia e di investire o meno in una carriera: quanta strada abbiamo davvero fatto? Siamo più felici, siamo più soddisfatte? Il problema che non ha nome è scomparso o esiste ancora, sotto altre “identità”? Siamo davvero nella condizione di fare quello che desideriamo o solo nella condizione di fare di più?

Alcune risorse:

Young Feminists Take on Work, Family, and the Meaning of Success

Betty Friedan and the Radical Past of Liberal Feminism di Joanne Boucher


Il Paese delle donne su Betty Friedan

Immagini prese su Wikipedia

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