lunedì 30 giugno 2008

Femminismo Vintage: Begum Rokeya Sakhawat Hossain (1880- 1932) e le utopie femministe



Foto courtesy of Wikipedia

Rokeya Sakhawat Hossain era una femminista indiana musulmana che fu estremamente attiva nella difesa dei diritti delle donne indiane. All’inizio del 1900 istituì la Sakhawat Memorial Girls' School riservata a ragazze musulmane. L’istruzione delle donne musulmane a quei tempi era particolarmente ostacolata dalla diffusa pratica del purdah, che proibiva alle donne musulmane (e non) di mostrarsi ad uomini estranei al circolo familiare. Dunque il purdah doveva essere strettamente osservato non solo a scuola, ma anche nel trasporto da casa a scuola, creando una serie notevole di difficoltà che sfavoriva la frequentazione scolastica. Rokeya Hassan lottò strenuamente per garantire una buona istruzione alle ragazze musulmane, affermando strategicamente che una donna ha bisogno di essere istruita in modo da poter essere una migliore musulmana.

Rokeya Hossain è conosciuta soprattutto per la sua utopia “Sultana’s Dream”, pubblicata nel 1905. In questa opera vi è una completa inversione dei ruoli, per cui gli uomini sono osservano il purdah e sono confinati a casa, mentre le donne governano il mondo. Rokeya era infatti molto critica nei confronti del purdah. L’intero testo dell’opera si trova qui


Quello che mi pare interessante è che sebbene a tratti io sogni un mondo dove gli uomini scontano secoli di vantaggi spesso immeritati,l’utopia di Rokeya è un po’ fascista, perchè non punta all’eguaglianza e ad una spartizione equa del potere, ma semplicemente fa sì che oppresso e oppressore si scambino i ruoli. Io credo invece che il femminismo non debba puntare a farla pagare agli uomini, ma debba invece cercare di creare una società egalitaria. Se poi nel processo una si piglia anche qualche bella soddisfazione...

sabato 28 giugno 2008

Frivolous Feminist Friday

Anna H. (lasciatemi parlare di me in terza persona, chè mi fa sentire importante) ogni tanto scende dalle barricate, smette – provvisoriamente - di opprimere uomini innocenti, e cazzeggia.
E dunque su questo blog ci va il Frivolous Friday, che questa settimana cade di sabato, per motivi vari.

Ed ecco i due oggetti del cazzeggio della vostra maîtresse à penser:

1. Anna H. ricama. La manualità di Anna H. fa pena, però ricamare la rilassa. Per esempio, al momento si sta dedicando ad un cuore trafitto che andrà a finire sulle mutande di un’amica fortunata. Ma il prossimo progetto potrebbe essere questo favoloso kit di Subversive Cross Stitch
(meno la cornice rococò che fa "Salotto di Nonna Speranza")




2. Anna H., dopo aver finito di leggere a 10 anni gli Harmony di mamma ha capito la logica del plot: lei vergine, lui sembra bastardo ma è buono, lei gliela dà, equivoco per cui lei crede che lui sia bastardo sul serio, lui si redime, si sposano.
A quel punto Anna H. e (la mamma) si sono dedicate a letture quasi serie, e quindi Anna H. Sta leggendo questo:




Ed ha capito che la Allende è ora di metterla da parte, perchè anche qui il plot si ripete, anche senza vergini. E comunque come suocera la Allende è un incubo.

Saluti femministi!

giovedì 26 giugno 2008

Microfemminismo: mettiti il tanga ed andiamo (all'asilo?)

Mettiti la maglietta di Limited Too

(immagine di Slate)

gioca un po' con la tua raffinatissima bambola Bratz



non dimenticarti il profumo della Barbie


E ricordati che se sei oggettificata e sessualizzata, è tutta colpa delle femministe! Lo dice fox news qui. Peccato che nella logica impeccabile dell'autrice affermare il diritto ad una sana sessualità equivalga ad un "tutto è permesso" e soprattutto a qualunque età


Per una risorsa esauriente in Inglese: "Report of the American Psychological Association on the Sexualization of Girls" (2007) qui

In Italiano: "Erotizzazione dei bambini nella pubblicità"
qui

mercoledì 25 giugno 2008

Obama ed il velo maledetto (partecipazione straordinaria di Cat Stevens)




È di pochi giorni fa la notizia secondo cui due volontari per la campagna di Obama hanno impedito ad alcune donne coperte dal velo di posare con lui in una foto ufficiale. Ovviamente si sono poi tutti prontamente scusati. Putroppo però la decisione, per quanto fuori luogo è il chiaro esempio dell’isteria collettiva che ancora circonda hijab, burqa, etc. che sono diventati un vero feticcio, nel senso di "oggetto di un' ossessione". Nell’immaginario collettivo la donna velata non solo richiama l’idea di oppressione, ma il velo diventa il simbolo unico di tale oppressione, dove tutte le ansie e paure vengono concentrate, distraendoci dal soffermarci su altri problemi. Inoltre, una visione così semplificata cristallizza le donne velate in una posizione subordinata e passiva, di eterna vittima.


Essere una vittima (o dichiararsi come tale) può rappresentare una buona strategia, nel male, come quando Bush si preoccupò improvvisamente per le povere donne afghane coperte dal burqa, o nel bene, come quando Emma Bonino utilizzò le stesse immagini per mobilitare l’opinione pubblica contro il regime dei Talebani.

Cosa rappresenta allora il velo? Se spostiamo la prospettiva e studiamo cosa rappresenta per chi lo indossa, si vede che la questione è molto piú complicata: in questo interessante articolo di Azadeh Namakydoust apparso anni fa su si capisce chiaramente che il velo può non solo essere adottato spontaneamente come strumento politico - nel caso dell'Iran nel 1979 come atto di protesta contro lo Sha - ma rappresenta anche un elemento di comfort.


Secondo Namakyodust infatti: "For many women wearing the veil represented tradition, honor, femininity, and some times even comfort; hence most women, along with their husbands, passionately opposed the royal decree (decreto che proibiva alle donne di portare il velo). Some women refused to leave their houses for months, some others ventured out into the streets in full cover and risked being beaten and having the veil violently pulled off of their heads. "



Dunque il velo può essere anche una scelta fatta in assoluta libertà, à la Cat Stevens che cantava:




You can do what you want
The opportunity is on
And if you can find a new way
You can do it today
You can make it all true
And you can make it undo
You see ah ah ah
Its easy ah ah ah
You only need to know



oppure può essere una scelta fatta come conseguenza di più o meno pesanti condizionamenti. Ma al di là della questione scelta/obbligo un'unlteriore domanda che ci si deve porre è se portare il velo in tutte le sue forme fa di una donna una cittadina di serie B e la discrimina non solo nella sfera privata, ma anche nella sfera pubblica, vis à vis gli altri cittadini. E senza andare molto lontano, in Turchia si sta discutendo in modo decisamente acceso sull’opportunità di lasciare frequentare l’università a donne che portano il velo. Oltretutto, il femminismo occidentale (che è solo un' incarnazione del femminismo tra tante) tende spesso a promuovere la semplice equazione: donna velata=oppressa e donna senza velo=liberata, adottando cosi' un atteggiamento decisamente paternalistico.

Per saperne di piu':

risorse in Inglese: "Do Muslim Women Really Need Saving? Anthropological Reflections on Cultural Relativism and Its Others" di Lila Abu Lughod

"Feminist Theory, Embodiment and the Docile Agent" di S. Mahmood, disponibile qui

Fatima Mernissi qui

Orientalismo di Edward Said

Oltre il Velo di Leila Ahmed

martedì 24 giugno 2008

Perchè e per come

Chi: Anna H., la mente dietro a Femminismo per tutti. So qualcosa sul femminismo e voglio “evangelizzare” il mondo intero, cominciando dalla blogosfera italiana.

Quando: quando ci si riesce

Come: non svaccando troppo, cercando di dare informazioni interessanti e utili

Per chi: per tutti. Perchè il femminismo è un progetto che benchè spieghi l’oppressione delle donne e la combatta – in realtà lotta per l’emancipazione dei più deboli, uomini e donne.

Dove: dappertutto.