lunedì 2 novembre 2009

La metà

Il rapporto "A Woman's Nation"celebra il fatto che finalemente le donne americane rappresentano il 50% della forza lavoro negli States, affermando che la battaglia dei sessi e' finita. Tuttavia, messo via lo champagne e passata la sbornia, e' meglio guardare bene cosa c'e' dietro ai numeri. In teoria abbiamo una situazione di eguaglianza di genere (cioe' pari diritti e piena partecipazione di uomini e donne alla vita economica del paese), ma in pratica ne siamo ben lontani, sia negli USA e in Italia, dove le donne rappresentano il 46% della forza lavoro (una delle percentuali piu' basse d'Europa).

Come osserva Jen Nedeau su Change.org ,
negli USA il lavoro delle donne "viene via" a poco,in quanto una donna gudagna 77 cents per ogni dollaro guadagnato da un uomo, anche in Europa il gap nei salari e' ancora intorno al 15%, inoltre, le donne sono meno propense a chiedere aumenti salariali e restano a lungo in posizioni inferiori, dove sono meno pagate. Senza menzionare altre questioni che possono fare del lavoro delle donne una vera e propria corsa ad ostacoli, piu' che strumento di realizzazione personale, come per esempio difficolta' legate alla maternita', al part time, etc.

Lo stesso ritornello dell'aumentata partecipazione delle donne alla forza lavoro viene ripetuto per celebrare i successi della globalizzazione nel sud del mondo: vero e' che tante donne che in passato non avrebbero potuto mettere piede fuori di casa adesso lavorano e probabilmente traggono sostentamento e magari una certa soddisfazione dal proprio lavoro, ma se guardiamo bene che genere di lavoro le donne svolgono a livello globale, ed in quali condizioni, c'e' spesso da mettersi le mani nei capelli. Chandra Mohanty, nel suo saggio “Women Workers and the Politics of Solidarity”, osserva che “Third World” women’s work is also characterized by “ideas of flexibility, temporality, invisibility and domesticity” per cui il lavoro delle donne e' di fatto un bacino di lavoro sottopagato basato su una visione stereotipata di categorie come il genere e la razza.

Senza contare che, sebbene durante la Conferenza ONU sulle donne di Pechino, nel lontano 1995, i paesi componenti delle Nazioni Unite siano stati invitati a conteggiare nel prodotto interno lordo nazionale il lavoro domestico (produrre cibo, pulire, curare figli/e e anziani/e, etc.) svolto per lo piu' dalle donne e NON pagato benche' sia indispensabile per la ripruduzione della societa', siamo ancora lontani da una adeguata incorporazione nelle statistiche nazionali e da una valutazione monetaria di tale lavoro, che fa tra l'altro risparmiare parecchio agli stati nazionali.

Quindi, numeri a parte, sarebbe meglio riflettere su cosa cosa e' il lavoro delle donne e finalmente smettere in pratica il famoso gender mainstreaming guardare al genere, alle diverse esperienze di uomini e donne nel mondo del lavoro e cambiare il mondo del lavoro stesso, ridefinendolo in modo da renderlo un po' piu' accogliente e giusto per tutti.

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